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Intervista superbonus

Sul numero del 10 febbraio 2021 de “la Vita Cattolica” la giornalista Veronica Rossi ha pubblicato un’intervista che ci ha fatto relativamente al superbonus 110%.

Per necessità editoriali il nostro pezzo è stato abbondantemente sintetizzato , tuttavia le riflessioni che avevamo fatto ci paiono interessanti e quindi riportiamo qui il testo integrale dell’intervista.

Qual è la sua opinione sul superbonus?
Il nostro studio da sempre sostiene che la vera ed unica strategia per una reale sostenibilità sia quella del recupero del patrimonio edilizio esistente. Questo si lega alla riduzione del consumo di suolo, alla valorizzazione del costruito, alla corretta gestione del ciclo di vita dei materiali dei processi edilizi. Non a caso sia io che il mio socio viviamo in case da noi completamente ristrutturate, utilizzando i benefici fiscali attivi già da anni, e che grazie al nostro intervento hanno avuto nuova vita adattandosi alle esigenze del contemporaneo.
All’interno di questa consapevolezza il superbonus rappresenta un turbo ed un’opportunità al momento più unica che rara. Un’occasione straordinaria per il nostro Paese, le nostre comunità ed i singoli cittadini di ripensare il proprio futuro. Tutto questo in un momento in cui immaginare il futuro dovrebbe essere un esercizio quotidiano e necessario. Alla luce di tutto questo il superbonus mi pare uno strumento meraviglioso non solo in termini pratici ma anche psicologici perché permette di immaginare progetti e la vita a mio parere si alimenta ed assume significato solo per
mezzo di una costante progettualità.


Con l’arrivo del superbonus che tipo di interventi consiglia di fare?
Io in questa sede non voglio essere tecnico, anche perché di guide sul superbonus e di informazioni tecniche se ne trovano ormai dappertutto. Quindi a questa domanda io mi sentirei di rispondere che gli interventi che consiglio sono quelli che si percepiscono come determinanti nell’innalzamento della propria qualità di vita domestica. Mi spiego meglio, gli interventi di adeguamento sismico piuttosto che di efficientamento energetico sono degli strumenti che tuttavia dovrebbero essere considerati quali opportunità per ripensare spazi, luoghi e situazioni per vivere
meglio e non come obbiettivi in loro stessi.
Allo stesso tempo ci tengo a suggerire di avere una certa consapevolezza e cioè a fare quello che davvero si sente necessario e ci si può ragionevolmente permettere e non lanciarsi in improbabili
avventure. Perché i processi edilizi restano comunque delle avventure che da un lato sono entusiasmanti ma allo stesso tempo assai impegnative e faticose e quindi è necessaria una forte motivazione per affrontarle. Non si avventuri quindi in queste cose chi non ha davvero la necessità, non la si prenda per una “passeggiata” in cui alla fine si vince il premio senza sforzo.
Consapevolezza e motivazione devono guidare il nostro percorso che sarà certamente faticoso ma di sicura soddisfazione finale.


Che valore aggiunto può portare il contributo di un architetto?
Io sono la terza generazione di architetti del nostro studio attivo da oltre 70 anni. Ed ho così avuto modo di vedere come è cambiata la percezione dell’architetto in questo tempo, dal dopoguerra ad oggi. Mio nonno era un lusso che pochi si potevano permettere, mio padre è stato utile a moltissime persone ma prevalentemente a quella “classe media” oggi in difficoltà. La mia generazione si trova, come tutte le professioni, continuamente messa in discussione da clienti sempre più “tuttologi” ed “architetti fai da te” che si informano sommariamente sul web ed immaginano l’affidarsi all’architetto come un mero sistema per ricevere conferma delle loro idee già precostituite. Il rischio ora con il superbonus è che l’architetto venga apprezzato e ricercato ma unicamente come un mezzo per poter ottenere gli incentivi fiscali compilando delle carte. E questa sarebbe davvero la vera occasione persa perché noi architetti abbiamo davvero un patrimonio culturale ed una formazione in grado di conferire vero significato allo spazio dell’abitare.
La maggior parte delle volte che presentiamo per la prima volta un nostro progetto a dei nuovi clienti la loro reazione è “accidenti è completamente diverso da quello che immaginavamo!!” ed allora ecco sappiamo di aver fatto bene il nostro lavoro. Perché siamo pagati per fare quello che i
nostri clienti da soli non sono capaci di fare. L’architetto rispetto ad un tecnico ha una visione complessiva del progetto che è sempre più un processo che coinvolge moltissimi attori. L’architetto ha una vasta conoscenza, data dalla sua formazione, in diversi ambiti ed è così in grado di coordinare altri professionisti che al contrario hanno una solida competenza specialistica.
L’architetto ha una formazione umanistica che lo porta a mettere al centro di tutto l’uomo quale protagonista. Il bravo architetto, e ce ne sono moltissimi, ascolta il cliente ne comprende le necessità e progetta luoghi tagliati su misura per il singolo caso, realizza ambienti che permettono
alle persone di crescere come individui ed apprezzare la vita. Il bravo architetto si prende cura, nell’accezione più profonda, delle vite dei propri clienti
Ecco questo crediamo sia il plusvalore che possiamo dare come architetti ma questo richiede di investire un capitale molto prezioso e sempre più raro che non è nemmeno soggetto a detrazione fiscale e cioè la Fiducia.


Con la pandemia, che ha causato un aumento del tempo che le persone passano dentro la propria abitazione, le esigenze per la progettazione della casa sono un po’ cambiate. Quali sono le nuove richieste? Come si può utilizzare questa occasione per adeguarsi alle necessità riscontrate negli ultimi mesi?
La pandemia voglio immaginare sia un fenomeno congiunturale e non strutturale e quindi passerà. Tuttavia ha modificato le nostre vite per sempre, per certi aspetti anche in positivo. Ad esempio si è riscoperto il valore della famiglia, dello stare assieme e forse anche dell’ospitare. La casa è tornate centrale nel pensiero di tutti.
In tutti i nostri nuovi progetti cerchiamo ormai sempre di definire comunque un nucleo autonomo composto da camera e bagno interconnessi e separabili dal resto della casa per eventuali situazioni di quarantena domestica di un componente del nucleo familiare.
Devo dire che lo smart working non mi piace anzi mi terrorizza. Da poco ci hanno contattato dei clienti da Dublino, entrambi lavorano per una società di marketing che però ha deciso di chiudere la propria sede per sempre, si badi non di chiudere l’attività che al contrario è in crescita ma di chiudere la sede fisica e di mandare tutti i dipendenti a lavorare a casa loro. E così i nostri due clienti da Dublino se ne torneranno a Pordenone e continueranno a lavorare da casa per la stessa azienda allo stesso costo ma assorbendo sulle loro spalle tutti i costi logistici che prima gravavano
sulla società per la quale lavorano. Ma loro che sono dei millenials vogliono una casa “smart” dove lavorare ogni giorno comodamente da casa. A me vengono i brividi ad immaginare queste situazioni di vita continuamente lavorativa in cui non mi cambio per uscire sto con il PC sul divano,
mangio in studiolo. Non so per me è una sconfitta sociale, uno scenario da Blackmirror. Non mi piace! Preferisco immaginare le chiacchiere con i colleghi durante la pausa caffè e gli incontri in metropolitana andando al lavoro che magari ti cambiano la vita. Ed allo stesso tempo credo che la
casa debba essere un rifugio rispetto al fuori, un luogo di decompressione in cui si dia valore alle cose importanti della vita. E quindi spero che questa non diventi la direzione.
Credo che la casa dovrebbe divenire sempre più un luogo dove sviluppare noi stessi oltre al lavoro, le nostre passioni la nostra salute. E così penso che si dovranno reintrodurre quei veri lussi legati alla cura del corpo, leggasi palestre e spazi per il relax, lo spirito, leggasi biblioteche private o sale dedicate alla meditazione ed introspezione. Allo stesso tempo è emersa in modo prepotente la necessità di spazi aperti vivibili quali giardini o terrazze che sono stati riconosciuti come veri e propri elementi che innalzano la qualità della vita. Una casa quindi nella quale ci sia una diretta
connessione tra interno ed esterno.
La pandemia ci ha anche fatto scoprire la fragilità dei nostri cari, in particolare anziani, facendoci vivere situazioni che ci hanno lacerato nel profondo, nelle quali le separazioni nei momenti più dolorosi hanno manifestato una drammatica brutalità. Il nostro Paese invecchia la cura degli anziani nel recente passato è divenuta una questione da appaltare ad altri perché tutti noi siamo così presi dai nostri impegni quotidiani, dalle nostre carriere. Forse ci siamo resi conto che non va bene così e forse le case dovrebbero essere ripensate come luoghi di una vita collettiva
intergenerazionale, come era non molti anni fa. Sistemi abitativi in cui si possa vivere vicini ai propri cari mantenendo la propria autonomia ma allo stesso tempo condividendo la quotidianità ed aiutandosi davvero come famiglie in cui i nonni stanno davvero assieme ai nipoti ed i figli aiutano
chi li ha aiutati a divenire adulti.


Ha già avuto richieste per interventi con il suprbonus?
Certamente! Le richieste sono ormai quasi quotidiane, c’è moltissimo interesse in tal senso ed il nostro studio si sta occupando già di alcuni progetti che hanno l’obbiettivo di sfruttare il superbonus, prevalentemente mediante il meccanismo di cessione del credito ad istituti bancari.
Purtroppo le richieste sono talmente tante che non è possibile soddisfarle tutte. E questo mi pare un problema di molti professionisti. Ed intravedo una problematica ancora maggiore nel prossimo futuro e cioè reperire imprese serie che possano fare concretamente i lavori. Perché questi anni di crisi hanno davvero decimato il tessuto imprenditoriale del settore edilizio. I miei timori sono che molti soggetti senza esperienza nel mondo edilizio si improvvisino per andare a conquistare un mercato molto appetibile portando i malcapitati clienti in situazioni problematiche.
Intravedo inoltre un ulteriore problema per quanto riguarda la gestione vera e propria dei progetti perché si stanno formando realtà “chiavi in mano” che promettono di fornire al cliente la gestione del progetto, della burocrazia e delle questioni fiscali e cessione del credito. Non che sia contrario a tutto questo ma credo che con quest’ottica di performance l’occasione della ricerca tesa alla qualità dell’architettura, di cui ho parlato, venga svilita e messa in secondo piano e mi parrebbe di conseguenza un modo di perdere un’importante occasione.
Credo allo stesso tempo che ci si debba chiaramente dire che se l’orizzonte temporale resta quello del giugno 2022 i progetti che riusciranno a beneficiare di questa occasione saranno davvero pochi e mi auspico di conseguenza una proroga di questo meccanismo di incentivi, collegandolo ad esempio a quell’orizzonte temporale che l’Europa si è data con il Next Generation EU e cioè 2027.
L’architettura e i processi edilizi sono meccanismi lenti e delicati che hanno bisogno di tempo per entrare a regime ed essere efficaci.
Per concludere sono convinto dell’opportunità davvero interessante che si sta sempre meglio delineando, sono convinto che l’architetto per le sue capacità di sintesi e di visione debba davvero avere il ruolo centrale in questi processi. Mi auguro che le persone sappiano cogliere questa
occasione ma che allo stesso tempo agiscano in modo saggio e senza farsi trascinare da inconsapevoli entusiasmi ed infine spero che il nostro Governo sia in grado di assumersi le responsabilità nei confronti di chi si impegnerà in questa direzione e comprenda il valore di questa scelta che ha fatto, costruendo e garantendo un orizzonte di ampio respiro e non lasciando a metà un importante progetto per il nostro Paese.

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